Frase del mese

FRASE DEL MESE

"Sono fiero dei miei collaboratori, che hanno creato un bando complesso, rigoroso, fatto in modo scientifico" (Mario Turetta, direttore della Reggia di Venaria), infatti taglia del 40% i servizi e non da garanzie chiare su contratti e assunzioni...

giovedì 29 novembre 2012

La sindrome di Ponzio Pilato

Quindi le cose si sono svolte in questo modo: Ken Loach non è andato al TFF e il suo film non è stato presentato in concorso. Allora verrebbe da chiedersi: quale stima può mai provare una direzione artistica verso un regista che afferma di conoscere, amare e quindi premiare se poi, scambiando un atto di coerenza come uno sgarbo suo e non come propria mancanza, invece di fare mea culpa, gli fa una ripicca a dir poco infantile e "non lo fa più amico"? Cosa aveva in mente la suddetta direzione quando aveva deciso di consegnare questo premio a Ken Loach? Chi immaginava di avere davanti? Inutile aggiungere altro a quanto ha già fatto come meglio non si poteva il suo sceneggiatore, Paul Laverty, in una lettera inviata al sindacato USB e ieri pubblicata sulla Stampa:

LA SINDROME DI PONZIO PILATO  
Condivido la tristezza di Ken Loach per il ritiro del nostro film, La parte degli angeli, dal Torino Film Festival, che senza dubbio continua a fare un eccellente lavoro. 
Tralasciando tutti gli insulti che sono stati scagliati contro Ken Loach, ritengo sia importante concentrare l’attenzione sul principio centrale della questione e devo dire che il comunicato stampa pubblicato dal Museo nazionale del cinema di Torino lo ha fatto con grande chiarezza. 
In sostanza, questa controversia solleva la questione più critica nel campo delle relazioni di lavoro in ogni parte del mondo, vale a dire quella dei subappalti. 
Tutti concordano sul fatto che i servizi di pulizia e sicurezza del Museo nazionale del cinema di Torino sono stati concessi in subappalto a una ditta esterna, la Cooperativa Rear. Vale la pena di riportare fedelmente la posizione del Museo: 
“Il Museo non può essere ritenuto responsabile dei comportamenti di terzi, né direttamente né indirettamente. Di conseguenza, non sarebbe in alcun modo legittimato a intervenire nel merito di rapporti di lavoro fra i soci di una cooperativa esterna e la loro stessa società.”  

Questa posizione coincide con quella delle più potenti multinazionali a livello mondiale, le quali possono godere di leggi sulle aziende e sul lavoro che sono state plasmate a loro favore. Ciò solleva questioni etiche e legali profonde che sono meritevoli di un dibattito rigoroso poiché condizionano la vita di centinaia di milioni di lavoratori in tutto il mondo. 

Se accettiamo la posizione riportata sopra, secondo la quale l’azienda che esternalizza a una ditta appaltatrice non ha responsabilità “diretta o indiretta”, quali possono essere le implicazioni? (Questo era il tema che affrontammo nel nostro film “Bread and Roses”). Significa che le catene di negozi di abbigliamento nelle capitali europee non devono assumersi alcuna responsabilità per lo stato di miseria in cui vivono le sarte e i loro figli in Bangladesh, dove le condizioni di lavoro sono peggiori di quelle dell’Inghilterra vittoriana. Significa che i supermercati non devono assumersi alcuna responsabilità per i prodotti alimentari sui loro scaffali, confezionati da migranti clandestini che lavorano per salari inferiori a quello minimo. (Una realtà che abbiamo conosciuto quando abbiamo condotto le ricerche per il film “In questo mondo libero”). Significa che le aziende globali che producono computer e parti di ricambio per le automobili nella città di Juarez, in Messico, un luogo che ho visitato, non si assumono alcuna responsabilità per le condizioni di miseria e di pericolo in cui vivono e lavorano questi operai. 
Non diciamo che la controversia nel Museo sia di questa natura o di questa scala, ma in ogni caso questo è il rapporto contrattuale che hanno adottato e che ora difendono. Se accettiamo questo principio, riconosciamo ai potenti non solo la possibilità di fare come vogliono, ma anche di evitare le responsabilità. Significa che prenderanno la decisione più importante di tutte, quella della ditta a cui aggiudicare il contratto, che potranno ottenere i vantaggi dello sfruttamento dei più deboli senza avere alcun rapporto con loro e che potranno poi dare la colpa a qualcun altro. 
È il modello aziendale perfetto: la “sindrome di Ponzio Pilato”. 
Al di là dei suoi aspetti più specifici, questa controversia dimostra quanto è cambiato il mondo, perché chi dovrebbe essere maggiormente consapevole di ciò che accade negli angoli più remoti di questo nostro complesso pianeta sostiene oggi pubblicamente questo principio.

Dottor Slump

venerdì 23 novembre 2012

Beh, se ci tiri in ballo, Mr. Laus...!


Se continuiamo a scrivere della vicenda del Museo del Cinema e dei lavoratori licenziati ingiustamente (come il tribunale ha confermato) non è perchè questo blog si sta trasformando nel blog della Mole (forse, si potrebbe chiamarlo allora "iMOLiamoci forte!") ma per tre chiare ragioni che non possono essere taciute:

1) Alla Venaria Reale, con condizioni e contratti diversi (la situazione è migliore invero) vige la stessa e identica logica: un luogo di cultura esternalizza i propri servizi primari (biglietteria, guardineria, assistenza, call center, pulizie, sicurezza, didattica, ecc...) per avere un risparmio, creando anche una divisione del lavoro tra "noi" e "loro", con diritti e discipline diverse; questo non evita che quando si fanno dei tagli del personale i primi a rimetterci sono i lavoratori e le lavoratrici delle aziende/cooperative in appalto, che ricevono semplicemente un taglio di ore che si trasforma in lavoro in meno (o assente!) per alcune persone, come la vicenda dei nostri 23 colleghi insegna.

2) La vicenda era stata ripresa e diffusa dal nostro blog, con conseguenti malumori della REAR e di Laus stesso, due nostri sindacalisti hanno rischiato forti sanzioni disciplinari (per saperne di più leggi qui) perchè impegnati con l'USB in quella battaglia. Quella della Mole è una storia che ha coinvolto Venaria nel passato...

3) ...e nel presente! Sì, perchè il grande statista di sinistra Mr. Laus ha risposto all'ignavo e poco informato Mr. Loach che lui si è sempre speso per i propri lavoratori, che ha applicato sempre il contratto che la committenza gli chiedeva, e che dove questo era diverso dall'Unci non ha mai avuto problemi ad applicarne uno diverso. Anzi, riportiamo qui di seguito le parole esatte che ha lasciato a La Stampa oggi:
«Partecipiamo agli appalti pubblici con la massima attenzione alla normativa vigente, a quanto contenuto nei capitolati e a quanto richiesto dai bandi di gara, compresa l’applicazione di contratti alternativi all’Unci, come avviene ad esempio alla Reggia di Venaria. E in ogni caso alla Mole i contratti rispondono alla normativa».  (Mauro Laus, presidente REAR e Consigliere Regionale PD Piemonte, La Stampa del 22 novembre 2012)
Anzi se volete leggere l'articolo in forma web cliccate qui.

Mr. Laus, se ci chiami in causa non possiamo che risponderle: ha detto un'altra bugia! Anzi, una cosa ancora peggiore, una cosa che è ancora più efficace e mistificatrice di una bugia: ha detto una mezza verità.
Ma nessun problema, le rinfreschiamo noi la memoria.

REAR E VENARIA, UNA STORIA DI CONTRATTI APPLICATI.
La REAR arriva a Venaria nel 2008, ad appalto già avviato, dopo aver vinto alcune cause legali contro le cooperative che avevano inizialmente preso in gestione il complesso. Quando la Reggia e i giardini aprirono i battenti nel 2007 i lavoratori vennero assunti con il contratto MULTISERVIZI, un contratto creato per le pulizie ma che permetteva un monte ore fisso, un guadagno di 5,4€ netti all'ora, tempo indeterminato, malattia completamente pagata, ferie garantite, tredicesima e quattordicesima. Nel 2008 arriva la REAR e mette subito in chiaro una cosa, cioè che applicherà per tutti i suoi dipendenti della Reggia il contratto UNCI, peggiorativo: 4,20€ netti all'ora, nessun monte ore fisso (solo una disponibilità dalle 0 alle 40 ore, che non garantisce lavoro continuativo e che, in caso un datore di lavoro voglia, può essere strumento di ricatto), malatia pagata solo dal terzo giorno, nessuna tredicesima, nessuna quattordicesima e maturazione di permessi e ferie minore.
Insomma, i lavoratori della Reggia hanno rischiato di, dopo solo pochi mesi di servizio, veder stracciato un contratto firmato e già applicato e di vedersi applicato un contratto di gran lunga peggiore, tutto questo con un pagamento della committenza della stessa cifra alla REAR di quella che dava alle cooperative precedenti, quindi un abbassamento di stipendio ingiustificato. SENZA CONTARE CHE NELL'APPALTO ERA SCRITTO BEN CHIARO CHE IL CONTRATTO DA UTILIZZARE ERA IL MULTISERVIZI!!!
Son dovuti passare mesi di trattativa, agitazioni sindacali, incontri dal prefetto, pronunciamenti della Regione Piemonte e anche interventi di dirigenti del Partito Democratico a livello nazionale per  dissuadere il loro "compagno" Laus a cedere; cosa che fece, uscendo subito dopo dal PD, entrando a far parte dei Moderati per il Piemonte. Rientrerà nel Partito Democratico solo dopo esser stato corteggiato dalla Bresso per le elezioni Regionali 2010 (ricordiamo che Laus capitalizza un patrimonio di 7500 voti in Piemonte, preferenze dirette che portano il suo nome).
Ecco qui gli articoli de La Stampa di quei giorni:


Clicca sulle pagine per ingrandirle e leggerle - La Stampa 20 maggio 2008



Clicca sulle immagine per ingrandirle e leggerle - La Stampa 22 maggio 2008

Finale a lieto fine? Più o meno. I lavoratori precedentemente assunti hanno visto sì confermato il loro contratto Multiservizi, ma coloro che sono stati assunti successivamente e che ancora oggi lavorano alla Reggia hanno iniziato il loro rapporto di lavoro alla Venaria Reale con un contratto UNCI!!! A nulla son valse le denunce dei sindacati sia alla REAR che al Consorzio della Venaria Reale, che di fatto ha chiuso gli occhi di fronte alla presenza dell'UNCI in Reggia. Quindi dal 2008 fino al primo maggio 2012 (data dell'avvio del nuovo appalto) abbiamo avuto lavoratori di serie B e lavoratori di serie C (i lavoratori di serie A erano e rimangono ovviamente coloro direttamente assunti dal Consorzio, dalla Reggia, senza tramiti, gestioni terze, ecc...), con due contratti ben diversi che applicavano due pesi e due misure: Multiservizi e UNCI.
Quindi non prenda in giro i lettori del quotidiano torinese e soprattutto noi, Mr. Laus. Inoltre le ricordiamo che se oggi i lavoratori e le lavoratrici della Reggia hanno un contratto ancora diverso e migliore (il Federculture) è stato grazie non alla sua bontà e correttezza, ma perchè quei lavoratori hanno lottato per averlo, sia contro di lei che contro la dirigenza della Reggia di Venaria, non molto propensi.

UNCI, PERCHÉ NON APPLICARLO MAI.
Inoltre Mr. Laus, voglio ricordarle una cosa: IL CONTRATTO UNCI È STATO DICHIARATO NON COSTITUZIONALE! Quindi non dovrebbe proprio porsi il problema di leggere bene i capitolati degli appalti per vedere se applicarlo o meno... NON DOVREBBE PROPRIO APPLICARLO!!!
Perché è stato dichiarato anticostituzionale? Ma come, un politico di centrosinistra come lei, anzi del "primo partito del Paese", non sa il perché? Bene, anche qui siamo lieti di rinfrescarle la memoria.
L'articolo 36 della Costituzione della Repubblica Italiana enuncia che: 
«Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». 
Nel 2010 una lavoratrice di Torino che lavorava con il contratto UNCI (non della REAR) ottiene dal tribunale del lavoro di Torino la non costituzionalità del contratto UNCI. Anche La Stampa di Torino ne parlò a suo tempo.
Insomma, a quanto pare per la più alta legge italiana (la Costituzione), esser pagati 4,20€ netti all'ora non è dignitoso e non garantisce la sostenibilità propria e della propria famiglia. Strano vero?

Comunque non demorda Mr. Laus, dopo l'esposizione mediatica a livello internazionale che si è meritato, lei davanti a sé ha ancora un futuro aziendale e politico, anche quando casomai sarà costretto a cambiare il contratto ai migliaia di suoi soci-lavoratori perché anticostituzionale: può sempre candidarsi alle prossime primarie, non tanto a quelle del centrosinistra o di qualunque partito che si pone a difesa del lavoro e dei lavoratori, ma a quelle dell'incoerenza, arte in cui il maestro inglese che vuole querelare non eccelle di certo.

Zak McKracken

giovedì 22 novembre 2012

Dai maestri si può solo imparare

Ken Loach è il regista giusto al momento giusto. Forse uno dei dieci cineasti più famosi d'Europa, doveva partecipare il 26 novembre al Torino Film Festival con il suo ultimo film, La parte degli angeli, per poi ricevere il premio Gran Torino, ovvero il premio alla carriera che viene consegnato durante la manifestazione sabauda. Le motivazioni del premio sono riportate ancora sul sito del TFF: "Per l'umanità, l'umorismo e la forza morale e intellettuale che trasmette con i suoi ritratti di gente vera, sia quando racconta, tra commedia e dramma, storie contemporanee (Riff Raff, Piovono pietre, Ladybird Ladybird, Sweet Sexteen, Paul, Mick e gli altri, My Name Is Joe, Il mio amico Eric), sia quando si dedica a lucide ricostruzioni storiche (Terra e libertà, Il vento che accarezza l’erba, Palma d’oro nel 2006)". 
 Chi ha seguito un poco il cinema del maestro inglese, saprà del profondo senso di giustizia che permea ogni sua pellicola, e quanto egli si sia da sempre impegnato nel rappresentare il mondo del lavoro nudo e crudo, senza inutili retoriche. Ragione per cui, quando il regista di Nuneaton ha ricevuto una lettera in cui i lavoratori del Museo del Cinema di Torino descrivevano le condizioni di sfruttamento in cui erano costretti a operare, spesso sotto ricatto, coerentemente con le sue idee e, se vogliamo, con la sua poetica, ha cortesemente rifiutato di ricevere il premio.
 Qualche intellettuale locale, con poco senso dell'onore  e molto senso del ridicolo, si è permesso di rimproverare il regista per la sua scelta, a suo modo di vedere, estremista, sostenendo che sarebbe stato molto più decoroso, per un artista della sua levatura, ritirare il premio e poi fare una dichiarazione in favore dei lavoratori della Mole Antonelliana direttamente dal palco, evitando così di danneggiare l'immagine del festival e dell'ambiente culturale torinese e di ottenere comunque l'effetto di dare visibilità alla protesta. Eh già, perché a rovinare l'immagine della città adesso sarebbe la coerenza di chi ha speso una vita a lottare contro un sistema che, evidentemente, chi avrebbe voluto consegnargli quel premio appoggia. Mai che dagli stessi scranni si sia levata una voce per denunciare le scandalose condizioni in cui si lavora nei musei torinesi e italiani: magari in questa occasione giornalisti che si dichiarano autorevoli avrebbero potuto criticare il fenomeno di ricatto occupazionale che sta alla base del rifiuto di Ken Loach a presenziare al TFF, ma hanno preferito guardare ottusamente il dito e non la luna. E il risultato è che il coro di indignazione che si è da più parti sollevato ha potuto, ancora una volta, mostrare al mondo il provincialismo italiano e l'inadeguatezza dell'ambiente culturale cittadino a gestire il patrimonio artistico e culturale che una città come Torino sa mettere in campo. Loach ha saputo parlare in nome dei lavoratori torinesi al posto di quelle personalità locali che forse avrebbero il dovere deontologico di difenderli e, invece, sono state brave solo a riempirsi la pancia e a chiudere gli occhi di fronte allo scempio occupazionale di cui, così facendo, si sono rese complici! Rendiamoci conto! C'è voluto Kenneth Loach, un regista inglese! Un uomo di 76 anni che ieri, con il suo gesto, si è rivelato un maestro nella vita, prima ancora che nell'arte. 
Meditate gente, invece di parlare. Anzi, imparate, che dai maestri si impara solo.


Dottor Slump


mercoledì 21 novembre 2012

Thank you, Mr. Loach!


Riprendiamo oggi una questione che aveva acceso forti dibattiti anche grazie a un post pubblicato sul nostro blog: quella dei lavoratori REAR licenziati alla Mole Antonelliana dopo che avevano "osato" esprimere la propria contrarietà al progetto di ridimensionamento del loro stipendio del 10% da parte della cooperativa, senza nessuna conclamata crisi.

Il 23 novembre aprirà come ogni anno il Torino Film Festival, una delle kermesse cinematografiche più prestigiose del nostro Paese, in cui in genere si espongono film d'avanguardia e d'autore. La direzione del festival ha espresso la propria volontà di consegnare il Gran Premio al regista Ken Loach. Ma il regista britannico ha fatto sapere che non ritererà il premio come gesto di coerenza e di solidarietà con i lavoratori che lavorano nella sede del TFF. Se cliccate sulle immagini qui sotto aprirete gli articoli di La Repubblica Torino e quello de La Stampa dove viene raccontato il fatto.




Il sindacato USB già mesi fa espose la situazione di intimidazione che hanno vissuto alcuni soci-lavoratori della REAR alla Mole e ala fine il regista per solidarietà ma anche per non cascare in ipocrisie (da sempre Loach è impegnato con i suoi film sulla questione lavorativa) ha deciso di rifiutare il premio. 
Ci sentiamo perciò di dire una sola cosa: THANK YOU MR. LOACH.

La situazione di questi lavoratori è ancora incerta: il tribunale ha dichiarato il loro reintegro perché il licenziamento è stato illegittimo, ma non sono ancora rientrati alla Mole. Inoltre continua ad essere applicato il contratto UNCI a tutti i soci-lavoratori della REAR (non solo della Mole Antonelliana), che è stato dichiarato incostituzionale perché non garantisce le condizioni minime di dignità e sostentamento della persona; oltre al basso stipendio di base (4,20€ netti all'ora e contratto a chiamata) continua la decurtazione di una percentuale che ha mosso al dissenso i lavoratori licenziati (ora al 6% prima al 10%).

Ricordiamo che il presidente della REAR è Mauro Laus, potente consigliere regionale, una "macchina" che sa portare a sé un bel po' di voti (7000 circa alle ultime elezioni regionali). Peccato che sia un consigliere regionale del Partito Democratico, partito che ha nel suo dna la difesa dei lavoratori. 

Beh, Mr. Laus, complimenti vivissimi, bel risultato farsi una bella figura del genere con uno dei registi più seguiti e impegnati della sinistra internazionale! Finalmente è riuscito ad approdare all'attenzione della sinistra internazionale valicando le Alpi piemontesi!

Zak McKracken


P.S.: aggiorno l'articolo perchè in queste ore sempre più articoli spuntano fuori, segno che il gesto del regista Ken Loach ha suscitato una "notizia" ripresa da diverse testate. Mettiamo qui di seguito solo il link della notizia data dal sito del TG3, con la dichiarazione del regista stesso. Per aprirlo cliccate qui.  Zak

venerdì 16 novembre 2012

Mettere le mani avanti


Leggendo La Stampa di Torino ci accorgiamo che il Presidente del Consorzio di Valorizzazione Culturale della Reggia di Venaria, Fabrizio Del Noce, si lamenta dei mancati introiti dal Ministero della Cultura alla Reggia di Venaria. Qui l'articolo.
Leggendo ancora meglio scopriamo principalmente due cose:
1) che la Reggia di Venaria è in bilancio. Strano, ci avevano detto che era necessario tagliare 23 persone della sicurezza delle sale e del bookshop proprio perchè c'era crisi.
2) che la Reggia di Venaria non ce la fa a gestire autonomamente le proposte culturali e le mostre, non riesce a recuperare "pezzi" da esibire.
Del Noce polemizza con il MAXXI di Roma, che avrebbe ricevuto un forte finanziamento, ma questa polemica è la stessa che ricevette la Venaria Reale nel 2007 da altri musei piemontesi! È logico che un museo che deve aprire i battenti riceva "subito" dei nuovi finanziamenti e non degli "arretrati".
Inoltre forse il Presidente si dimentica la quantità di denaro malgestito che gira nella Reggia: per carità, giusto chieder conto al Ministero degli arretrati (sono comunque soldi che spettano alla Venaria) e senza l'investimento pubblico la Reggia non potrebbe autosostenersi, ma forse non si potrebbe già sfruttare i finanziamenti ricevuti, cercando di non sprecarli e impiegarli MEGLIO (parola che forse in Italia si dimentica spesso per far spazio al TANTO)? Abbiamo bisogno dell'intervento del Ministero per fare mostre di qualità con delle opere di qualità? Cosa ci sta a fare la mole di personale preposta proprio all'organizzazione e alla promozione delle mostre? Non è che la mancanza di sicurezza presente in Reggia, accentuata ancora di più da quando si è lasciati a casa 23 persone, scoraggia chi quelle opere dovrebbe imprestarle? 
C'è da aggiungere che certe furbizie non pagano: quando si ritarda all'ultimo giorno l'ufficializzazione della proroga della mostra Fabergè (quando già da tempo si sapeva che sarebbe stata prorogata fino al 9 dicembre) per avere più gente nei giorni di chiusura, e poi non si informa e non si fa pubblicità per far conoscere la proroga stessa... se vogliamo fare i furbi almeno facciamoli per bene e non da rimetterci: in questa prima settimana di proroga una mostra che ha avuto picchi di visitatori riguardevoli come quella di Fabergè ha avuto il vuoto. Pochissima gente. 
Forse prima di battere i piedi perché le cose non funzionano bisognerebbe guardarsi in casa, capire le vere responsabilità e capire come questo patrimonio sta venendo scialacquato.

Zak McKracken

sabato 3 novembre 2012

Una Reggia in comune?

Libera Reggia in libero Stato. Parafrasando il Conte di Cavour si potrebbe esprimere ciò in cui il Consorzio di Valorizzazione della Venaria Reale sta trasformando la Reggia. Sì, perché dopo anni di mutuale collaborazione (sacrosanta, aggiungerei), da più di un anno nel Consiglio d'amministrazione del Consorzio è stato fatto fuori il comune di Venaria, che, in fin dei conti, ha solo il piccolo onere e onore di essere il comune dove la Reggia è stata costruita secoli fa...
I motivi sono, tanto per cambiare, di finanziamenti. Il CdA può avere solo un massimo di membri e così il Consorzio ha cercato altri membri più facoltosi che potesse portare doti più cospicue. 
C'è solo un piccolo particolare: la Città di Venaria Reale ha già speso e spende una quantità di denaro (pubblico!) per la Reggia, senza oggi poter mettere voce in capitolo alle decisioni gestionali del museo.
Benchè il comune spenda denaro per infrastrutture, viabilità, ordine pubblico, ecc... pochi sono i soldi che ritornano alla collettività dal grande carosello che è concentrato quasi unicamente a Piazza della Repubblica (la piazza davanti la Reggia, ndr).
Il visitatore medio oggi fa questo tragitto: scende dal bus, entra in Reggia, visita la Reggia (spendendo fior fiore di quattrini tra biglietto, ristorazione), esce dalla Reggia, risale sul bus. Tra le strategie di turismo che il Consorzio mette in atto sembra non esserci niente che porti il visitatore a visitare la città.
La Reggia è solo una ricchezza per pochi o dovrebbe essere il grande catalizzatore per far piovere a pioggia un po' di ricchezza anche ai cittadini del comune che ha la (s)fortuna di averla sul suo territorio? Si è innescato quello che si chiama a volte come "indotto del turismo" oppure si sono fatte scelte che pienamente se ne fregano di questo aspetto?
Pubblichiamo qui la lettera che il sindaco della Città di Venaria Reale Giuseppe Catania ha scritto al Ministro per i Beni Culturali Lorenzo Ornaghi e al Presidente della Regione Piemonte Roberto Cota; la sua lettura può bene far capire la frustrazione di un'amministrazione di fronte alla sordità del Consorzio.

Clicca sull'immagine per aprire la lettera

Zak McKracken

mercoledì 31 ottobre 2012

Siamo tutti sulla stessa barca?



Il 16 Ottobre nella suggestiva chiesa di Sant' Uberto, si è tenuta una riunione tra i lavoratori della Reggia di Venaria e la "nuova" azienda ATI La Corte Reale che gestisce i servizi di accoglienza, assistenza al pubblico, bookshop, biglietteria e sorveglianza. L'incontro (richiesto dall'azienda) si è svolto in seguito all'improvvisa decisione del Consorzio di Valorizzazione Culturale di non far più lavorare dal primo Ottobre 2012, ventitré dipendenti de La Corte Reale. A questo increscioso avvenimento, quest'ultima ha tentato di fornire una spiegazione che però, non porta nessuna rassicurazione. Effettivamente non si può dire per certo che l'incontro, molto partecipato, abbia avuto come unico scopo quello di placare gli animi e rabbonire i lavoratori presenti; indubbiamente però, il contenuto di molti discorsi risuonava stranamente troppo conciliante. Mancavano solo tarallucci e vino da consumare a bordo della Peota Reale ( in esposizione alle Scuderie Juvarriane dal 16 Novembre ) con il grande slogan al seguito: "Perché in fondo, siamo tutti nella stessa barca", ovvero, anche La Corte Reale subirebbe un grosso danno economico se i "suoi uomini" venissero "decimati". In definitiva, minore è il numero dei lavoratori che vengono impiegati per una determinata mansione, minore è la cifra che viene erogata dal committente. Inoltre, la cooperativa ha aggiunto che farà il possibile per ricollocare il personale al proprio lavoro, almeno in occasione della prossima mostra dedicata al Bucintoro del Re di Sardegna. Ma chi può sapere che con questa mostra si farà il possibile per "smuovere le acque" e "scomodare il padrone di turno" affinché si ricreda sulla sua scellerata decisione di lasciare a casa da un giorno all'altro e per giunta senza uno straccio di sussidio, dei lavoratori dipendenti? Intanto se il presidente de La Corte Reale dice di essere a posto con la coscienza e di poter guardare suo figlio negli occhi la sera prima di dormire, non sarà dovuto anche al fatto che il giorno dopo saprà come provvedere a lui, comprargli dei giochi, farlo mangiare e non avere grossi dubbi sulla qualità di vita che potrà garantirgli? Viceversa, le deludenti prospettive di quei genitori ai quali è stato negato il diritto di lavorare, non possono che portare notti insonni e dubbi lancinanti sul proprio futuro.
Ad ogni modo, la situazione di questi lavoratori, ai quali è toccato uno spregevole contratto a zero ore, degno del nostro paese, è devastante. Mentre per l'altra parte, quella "contrattualmente meno fragile", sorge il problema del mancato pagamento da parte del Consorzio all'attuale società cooperativa, che pare provveda a tale mancanza, pagando gli stipendi di tasca propria. Eppure La Reggia di Venaria che si erge fiera a ridosso delle Alpi in tutto il suo splendore, non sembrerebbe affatto colpita da un periodo di "magra". E se si trattasse invece di un problema di cattiva gestione delle risorse economiche, sempre poco eque e mal distribuite?

Barabba.

venerdì 19 ottobre 2012

Dalla festa alla protesta!

Alcuni lavoratori lasciati a casa con il banchetto permanente della settimana scorsa posto davanti alla biglietteria di via Mensa

Si può dire che quello che è successo il 1° ottobre – lasciare a casa 23 lavoratori – sia il primo passo in un processo di smantellamento del personale “esterno” della Reggia che non ci vieta di temere, ma vorremmo essere smentiti, di fare un giorno la stessa fine. Contro la grave condizione in cui versano i 23 colleghi, cui è stato negato il diritto anche solo a beneficiare di ammortizzatori sociali perché, ricordiamolo, non sono stati licenziati, ma privati delle loro ore di lavoro, il sindacato di base USB ha messo in atto numerose iniziative in coincidenza dei tre giorni di celebrazioni per il quinto anniversario di apertura della Reggia.
Sabato 13 ottobre sono state raccolte 250 firme di solidarietà verso i colleghi colpiti dai tagli, ed è stato organizzato un presidio davanti alla Cappella di Sant’Uberto dove di sera si è tenuta la rappresentazione di uno spettacolo teatrale tratto dal libro Vandali, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella: in questa occasione i lavoratori hanno potuto incontrare, oltre che uno degli autori, anche le autorità presenti – Piero Fassino, Michele Coppola e Roberto Cota -,Walter Veltroni e l’intero Consorzio della Venaria Reale.
 Il culmine della protesta è stata l’assemblea indetta da USB domenica 14 ottobre in piazza della Repubblica, rivolta a tutti i dipendenti dell’ATI Corte Reale, con una nutrita e vivace partecipazione del personale che si è presentato con bandiere e striscioni. Dopo un primo intervento finalizzato a sensibilizzare le migliaia di visitatori presenti, il corteo si è presentato al cancello principale del complesso, ma è stato bloccato da un cordone di carabinieri che ha impedito loro l’ingresso. È stato quindi vietato, non si sa in nome di quale legge, a dei lavoratori di entrare nel loro posto di lavoro, solo perché provvisti di cartelli e bandiere. La risposta è stata che le disposizioni erano arrivate dall’alto, per evitare, evidentemente, che a qualcuno andasse di traverso lo spumante: a quei “maestri di esibizionismo” che riescono ancora a trovare motivi per gioire e non badano a spese quando si tratta di fuochi d’artificio e torte, fanno gli splendidi con i soldi degli altri e centellinano solo se le tasche non sono le loro o quelle dei loro amici. I lavoratori hanno comunque proseguito una civile protesta all’ingresso della Corte d’Onore e in via Mensa, distribuendo volantini e incontrando la solidarietà di cittadini e turisti.
Per evitare che non coincidesse con l’ora di assemblea, il taglio della torta è stato anticipato, e sono mancati i tradizionali interventi del direttore del Consorzio, Alberto Vanelli, e del presidente Fabrizio Del Noce.
Ci si chiede ancora cosa si sia celebrato, se non l’ennesimo e il più scellerato sgambetto a coronamento di cinque anni di ingiustizie che solo l’unità dei lavoratori ha saputo contrastare, infastidendo evidentemente chi non gradisce che si lotti per condizioni di lavoro migliori.
 Dopo la protesta si è cercato l’approccio del confronto, con l’incontro in prefettura fissato per il 17 ottobre a cui il Consorzio non ha partecipato, dimostrando, una volta di più, la scarsa attinenza al dialogo di chi ritiene di essere dalla parte della ragione solo perché abituato a parlarsi addosso, negandosi a qualsiasi contraddittorio.
 L’auspicio è che si smuova qualcosa a Venaria come nel nostro paese, dove il precariato non fa più notizia e ci si aspetta che ad esso si risponda solo accettando compromessi con il potente di turno, invece che credere e lottare per quei valori comuni che sono il sale di una società civile, come appunto il lavoro. 

Dottor Slump

lunedì 15 ottobre 2012

Vandali.

"Vandali" è il titolo che Gian Antonio Stella, insieme a Sergio Rizzo, note firme del Corriere della Seraha scelto per il suo ultimo lavoro editoriale. Un libro dove viene raffigurato il drammatico stato della gestione delle molte ricchezze artistiche, culturali e paesaggistiche del Bel Paese.
Giustamente Stella a un certo punto cita la Venaria Reale come esempio di rinato patrimonio artistico¹.
Sabato sera 13 ottobre 2012 Stella era alla Venaria per presentare, con uno spettacolo in Sant'Uberto, il suo libro e ha incontrato anche alcuni dei 23 lavoratori lasciati a casa dall'oggi al domani dal Consorzio di Valorizzazione Culturale; queste persone che hanno lavorato per cinque anni alla Reggia in diverse mansioni (in particolare nella sicurezza delle sale) hanno potuto presentare la loro situazione e la mancanza di sicurezza presente nella Reggia, soprattutto con l'ennesimo grosso taglio di personale.
Domenica 14 ottobre 2012 per il compleanno della Reggia si è avuta una lampante prova di questa mancanza: il mosaico seicentesco della Fontana del Cervo (ritrovato e restaurato con i grandi lavori del decennio scorso) si è rovinato, perdendo pezzi, a causa della grande quantità di persone "accorse" - ed è proprio il caso di dirlo - per l'evento sportivo "Una corsa da re", che ha riversato nella Fontana centinaia di persone. Nella Corte prima dei tagli era presente il personale che obbligava la gente a stare al di fuori del cerchio della Fontana, sia per proteggere la stessa, ma anche per evitare che i visitatori scivolassero o bevessero l'acqua non potabile e trattata della Fontana. Con gli ultimi tagli domenica scorso non c'era nessuno a provvedere ciò, ed è servito a poco correre ai ripari nel pomeriggio togliendo ulteriore personale dalle sale per metterlo in Corte. Se una coperta è corta dovrai per forza lasciare scoperto qualcosa, il problema è quando questo "qualcosa" è prezioso e da proteggere.
Domenica era una giornata particolare, con un'affluenza di certo straordinaria. Ma ciò capita anche nelle giornate di normale affluenza e non solo nella Corte. Da più di un anno la Galleria Grande, la sala più bella della Reggia, non è custodita: cosa comporta ciò? Si può facilmente immaginare, ma vi lasciamo alla visione del video che pubblichiamo qui di seguito: è un assemblaggio di alcuni video che sono stati raccolti e mostra bene cosa accade in ambito sicurezza in alcuni ambienti della Reggia. I miracoli non si possono fare e c'è una sola soluzione per risolvere i problemi visibili nel filmato: reintegrare il personale lasciato a casa.

Zak McKracken



¹ "[Un certo risanamento di opere d'arte da parte dello Stato] Vale per la Villa Gregoriana, vale per la meravigliosa reggia di caccia dei Savoia a Venaria Reale (restaurata e imposta come uno dei massimi poli d’attrazione del panorama turistico-culturale italiano dalle più virtuose collaborazioni destra-sinistra degli ultimi decenni), vale per i magnifici castelli federiciani di Melfi, Lagopesole o Andria. E occorre stare alla larga da chi, a volte, cavalcando gli stereotipi sugli italiani superficiali e sciatti che lasciano andare tutto in malora, la spara grossa solo per finire sui giornali." Stella, Rizzo, "Vandali",  Rizzoli, Milano, 2011


domenica 14 ottobre 2012

Auguri sinceri.

Piazza della Repubblica si dona di un simbolo più idoneo, fedele a ciò che
guida le decisioni della Reggia di Venaria.

Buon compleanno Reggia di Venaria. Ma chi compie gli anni oggi, chi li compie realmente? Per chi sono le candeline che oggi vengono spente, per chi sono i festeggiamenti che oggi riempiono la Corte e le sale sontuose della Reggia? Si legge nei giornali, si decanta assai dei cinque anni della Reggia di Venaria.
Le parole hanno un peso, sono correlate a un significato presente e comune nelle nostre teste. Non è la Reggia di Venaria a compiere gli anni. La Reggia è stata costruita a partire dal XVII secolo, ha avuto una lunga e variopinta storia e diversi inquilini. Oggi il compleanno è degli inquilini, non del Palazzo.
Le celebrazioni di oggi non sono altro che un'autocelebrazione di coloro che oggi “regnano” nella Reggia, un'occasione di Fiera delle Vanità e di vanteria, un palco dove rivendicare meriti e profitti.
Chi sono gli attuali inquilini del gioiello sabaudo? È il Consorzio di Valorizzazione Culturale.
La parole hanno un peso, un significato. Dire “Consorzio di Valorizzazione Culturale” vuol significare che obiettivo e scopo di cotale organismo sia difendere e migliorare la ricchezza ritrovata alla Reggia dopo i restauri di fine anni Novanta e inizi anni Duemila. Lo sta facendo o c'è qualcosa che non funziona? Dopo cinque anni può meritarsi tale nome?
Recentemente 23 persone sono state lasciate a casa per fare cassa. Non licenziate, ma lasciate a zero ore, con soli tre giorni di preavviso. Solo tre giorni e la tua vita cambia: niente più cibo, pagamento di mutuo e bollette, niente più lavoro. Un lavoro che tra l'altro garantiva loro uno stipendio intorno i 700-800 euro. Non milioni. Sono state lasciate a casa senza essere licenziate, a zero ore, in tal modo non percepiscono nessun sussidio di disoccupazione e ci si può nascondere dietro a dichiarazioni quali “Noi non abbiamo licenziato nessuno”. Se le parole hanno un senso allora ho capito che il Consorzio è sfacciatamente ipocrita. 
Leggendo l'organigramma del Consorzio spero che chi ha più di un incarico non abbia doppi, tripli stipendi, perché se veramente la Reggia ha bisogno di risparmiare per la crisi e per i tagli allora che si incominci a tagliare i doppi compensi. Intanto vi donate grandi celebrazioni, spendendo un sacco di soldi, tra fuochi d'artificio, torte e spettacoli del vostro compiacimento, "molto rumore per nulla" direbbe il Bardo. Sprecate denaro costruendo parcheggi faraonici a ridosso del Ceronda quando il grande parcheggio Juvarra già esistente rimane vuoto.
Tanti soldi e neanche un euro per queste 23 persone, molte delle quali hanno una famiglia da sostenere. Avete realmente tagliato il superfluo?
Questi 23 lavoratori hanno garantito per cinque anni, insieme a chi è rimasto, la sicurezza in Reggia, in particolare nelle mostre temporanee. Attualmente ci sono due mostre temporanee aperte e una aprirà i battenti nella Scuderia a novembre. Come garantire una degna e sufficiente copertura e un'adeguata accoglienza del visitatore?
È facile da capire che la mancanza di questi lavoratori nelle sale della Reggia è una mancanza di sicurezza per opere e visitatori. Cosa capita in concreto?
  • Oggi capita che un addetto di sala deve guardarsi undici sale. Undici. Impossibile garantire la sicurezza, anche dei visitatori. 
  • Nei giardini non esiste praticamente più personale. La Corte d'Onore non è presidiata a dovere e mentre la Fontana del Cervo disegna piacevoli coreografie, molta gente si addentra dentro di essa quando ciò è pericoloso. Inoltre non c'è nessuno che possa intervenire quando bambini e famiglie giocano con l'acqua della Fontana, che è chimicamente trattata.
  • Di domenica vi sono lunghe code perché spesso rimane solo una biglietteria aperta. Di domenica.
  • La celeberrima Galleria Grande (o di Diana) è da più di un anno lasciata senza custodia, senza personale di sala, alla mercé come minimo di visitatori a volte incuranti.
  • Con il recente taglio anche gli accessi in Reggia non sono sicuri. Capita che se c'è bisogno di personale in altri punti si lasci scoperto il Bookshop permettendo così a chiunque di entrare e uscire in Reggia, con o senza biglietto.

I visitatori trovano tutte queste mancanze e percepiscono parecchio disagio, tra l'altro dopo aver pagato 15-20 euro a persona. Che forse la bussola che guida le scelte alla Reggia sia diversa dalla Cultura e dall'Arte? Tutto ciò garantisce la “Conservazione e la Valorizzazione” della Reggia di Venaria? Io oso dire di no.
Chiedo onestà, sia linguistica che ontologica: auguro perciò due cose alla Reggia di Venaria, quella vera, quella che ha resistito a secoli di storia. La prima è che voi che guidate il Consorzio decidiate che questo cambi il suo nome, così potrete celebrare i vostri cinque anni, ma sarete salvi dalla vigliaccheria di non ammettere che state celebrando solo la vostra vacua vanità, che non porta beneficio né ai lavoratori, né alla collettività e né ai visitatori.
La seconda è che la Venaria Reale possa resistere anche alla vostra incuria, che possa salvarsi anche stavolta e possa essere realmente di tutti, possa essere "res publica" e non giocattolo per pochi.
Tanti auguri.

Qòelet

lunedì 8 ottobre 2012

"REGGIA VERGOGNATI!" La voce di chi rimane senza lavoro

Ieri mattina (domenica 7 ottobre 2012) alcuni dei 23 lavoratori/trici lasciati a casa per decisione del Consorzio di Valorizzazione Culturale hanno manifestato in piazza con cartelloni e striscioni, spiegando ai visitatori la loro delicata situazione, che li vede a casa senza lavoro e senza stipendio. Grande comprensione da parte di chi veniva a visitare il palazzo sabaudo e attenzione anche di alcuni giornalisti che hanno intervistato i lavoratori.
Ecco qui sotto alcune foto in cui leggere il loro pensiero, la loro voce sui cartelloni che portavano al collo. Per ingrandire le immagini basta cliccarci sopra.

Zak McKracken

 

 

 


domenica 7 ottobre 2012

Domenica di sit-in!

Oggi si è svolto un nuovo sit-in dei 23 lavoratori che dal 1° di ottobre sono rimasti a casa e che chiedono di non essere ignorati e di essere reintegrati nelle loro mansioni di guardiania e bookshop.
Ecco un articolo apparso sulla Cronaca di Torino del quotidiano La Stampa.


La Stampa - 7 ottobre 2012

La redazione di Reggiamoci Forte!

venerdì 5 ottobre 2012

Previsioni previste e andate a buon fine (ahinoi)

Riproponiamo qui una vignetta del nostro Vic comparsa qualche mese fa... alquanto veritiera in anticipo su ciò che sta accadendo in Reggia... alla fine quando si taglierà su sicurezza e personale come faremo a condurre la "nave" della Reggia?

Clicca sull'immagine per ingrandirla
Zak McKracken

martedì 2 ottobre 2012

Lavorare tutti!



Ecco che è successo anche alla Venaria Reale, il meraviglioso palazzo che promette un incantesimo al giorno ai suoi visitatori e non smette di regalare sorprese, soprattutto ai dipendenti di cooperativa, cioè a quelli che, pur dopo mille battaglie sindacali, sono riusciti ad approdare al nuovo contratto, il tanto agognato Federculture e che, malgrado questo, non sono abbastanza tutelati: da lunedì 1° ottobre, infatti, ventitre di loro, impiegati da 0 a 37 ore settimanali a seconda delle esigenze del museo, non potranno più lavorare per almeno sette mesi, fino al 30 aprile 2013. Stiamo parlando di lavoratori seri, professionali e scrupolosi per cui la Reggia non ha più posto, non ha ore da offrire, lasciando a spasso padri e madri di famiglia da un giorno all’altro, senza possibilità di appello e senza la certezza di un reintegro dal primo maggio.
 Ciò che lascia attoniti è la superficialità con cui vengono prese queste decisioni da chi dovrebbe sentirsi in obbligo di garantire il lavoro e con troppa facilità, invece, tratta le persone come zavorra di cui liberarsi giustificandosi con le solite scuse: la crisi, la spending review, l’ottimizzazione delle risorse. Come sempre a fare le spese di questi giochi al massacro non sono i meno degni, ma i più fragili contrattualmente, perché quando bisogna scegliere chi tenere e chi lasciare non lo si fa mettendo sui piatti della bilancia i meriti e le colpe, ma solo le amicizie.
 Il nostro augurio è che questo increscioso avvenimento non cada nell’indifferenza totale e che quanto prima chi deve si impegni a far sì che a questi lavoratori venga restituito nel minor tempo possibile il loro posto.
 Intanto domenica 30 settembre dalle 13.30 alle 15.30 si è svolta un'assemblea sindacale molto sentita e partecipata, che è stata il primo atto di protesta verso questa inspiegabile e deprecabile situazione.

Dottor Slump


sabato 29 settembre 2012

Cadenas: le guarda-barriera



Il 13 Giugno 2012 viene proiettato al cinema Massimo di Torino, il film documentario di Francesca Balbo, Cadenas ( Catene ) selezionato in concorso al Festival Visions du Réel di Nyon. Il titolo del film racchiude il significato del documentario, non solo da un punto di vista simbolico ma anche letterario del termine. Sono di fatto catene, quelle che le protagoniste del documentario: le guarda-barriera, utilizzano per bloccare il traffico ad ogni passaggio del treno lungo i binari ferroviari della Sardegna che si snodano tra la Trexenta, il Campidano e il Gennargentu. In particolare la regista pone la sua attenzione ad un piccolo paese a cinquanta chilometri a nord di Cagliari: Mandas, da dove negli anni '70 partivano diramazioni ferroviarie importanti come quella per Arbatax e Sorgono. Oggi questi luoghi non hanno più il riconoscimento di un tempo, non sono più tappa obbligata di viaggiatori in cammino per altre mete, ma sono diventati per lo più luoghi sconosciuti, dove però è ancora presente il respiro di un paesaggio selvatico che nel documentario, per la durata di alcune sequenze, acquista autonomia dai personaggi e diventa il solo protagonista. I suoni orchestrati dal ritmo della natura, come quello delle foglie sospinte dal vento, sono intervallati da "silenzi" altrettanto descrittivi, come quello reso dalle sole inquadrature dei cartelli che riportano il nome dei paesi, o ancora il "rumore" della pioggia mattutina che si alterna a quello delle rotaie del treno in corsa. Tutte queste scene sono caratterizzate da un senso di attesa, in cui il tempo pare sospeso. Ma catene sono anche quelle che simbolicamente vivono le guarda-barriera, "incatenate" al loro luogo di lavoro per dodici ore di presidio al giorno e vincolate da orari di treni scritti a penna su dei fogli, passabili di continue variazioni. Spesso i cambiamenti di orario o risposte a richieste varie, come quelle per un permesso, vengono comunicati dal macchinista tramite bigliettini rossi gettati dal finestrino del treno in transito. Il "lavoro effettivo", che queste donne svolgono nell'arco della giornata, si può quantificare in ventidue minuti al giorno, il che comporta una scarsa possibilità di gestione della propria vita famigliare e privata.
Nella vita di queste "signore della ferrovia" primeggiano dunque tempi vuoti, tempi fatti di attese, ma anche di responsabilità e volontà di conferire dignità al proprio operato, di essere considerate donne e madri di famiglia che compiono sacrifici per portare a casa qualche soldo in più. La tradizione, in questi luoghi remoti della Sardegna, vuole che a svolgere questo lavoro - unico in Europa - siano solo donne, al quale purtroppo (come spesso accade quando un territorio non viene valorizzato nelle sue risorse e caratteristiche peculiari) si vuole porre fine. Eppure, questo lavoro così inconsueto e particolare, come le donne che lo svolgono, è stato persino citato nel libro Mare e Sardegna da uno scrittore degli anni '20: D. H. Lawrence, di passaggio a Mandas per raggiungere Sorgono.
Quest'attività, non solo per rimando analogico, si avvicina molto alla parola: guardia-sala, e quindi al mestiere di sorvegliante museale ma, con quest'ultimo, ha anche un modo simile d'intendere e di considerare la nozione del tempo. Dove vola il pensiero durante la "bassa" stagione, quando le attività lavorative in un museo rallentano perché non ci sono visitatori o sono troppo pochi per mobilitare il sorvegliante nel suo compito? Come viene concepito il tempo da un guardia-sala rispetto ad una guarda-barriera? Per fortuna, un guardia-sala,  a meno che non si trovi costretto da certe aziende a domandare un doppio turno per una domenica di riposo, arriverà sporadicamente a svolgere dodici ore di lavoro al giorno, come accade invece per le protagoniste del documentario; inoltre sarà piuttosto difficile per lui, lavorare l'uncinetto o piantare quasi distrattamente dei semi di mandorlo, vederlo crescere ed ammirarlo poi a distanza di anni, raccogliendone i frutti. Non s'imbatterà mai - purtroppo - in una mucca solitaria che, in mezzo ai binari osserva ignara ed incuriosita l'andare lento di un treno, o in altre mille sollecitazioni di un paesaggio ancora ingenuo, perché non ferito da una modernità invasiva ed arrogante, ma ancora vivo di generosità, ricco di stimoli visivi e tradizioni.                      

        
 
Probabilmente il pensiero di un guardia-sala, come quello di una guarda-barriera, andrà ai vari compiti da svolgere fuori dal luogo di lavoro per mandare avanti la propria casa, la propria famiglia, gli studi; oppure penserà ad un modo più proficuo per sfruttare al meglio quel tempo che, fuori dall'orario di lavoro, non è più "attesa". In Cadenas, si trova anche l'aspetto legato alla solidarietà, alla semplicità dei rapporti umani e del comunicare, scandito da elementi d'ironia. In una sequenza del documentario, le attuali guarda-barriera, diversamente dalle loro antenate - costrette comunque ad un ritmo lavorativo molto più rigido - hanno la possibilità di avvisarsi dell'arrivo del treno tramite il telefono cellulare. Purtroppo però, l'utilità che nasce dall'età moderna non sempre coincide con valori edificanti, ma piuttosto con opportunismo, guadagno e profitto. Quale futuro possono avere queste donne che da generazioni svolgono il mestiere di guarda-barriera, se le già ridotte linee ferroviarie di questa parte dell'entroterra sardo, verranno sostituite dalle tratte su gomma?
Nell' "attesa", per ora, rimane solo il respiro del tempo presente.

            


 

Satsuki

martedì 21 agosto 2012

Volevo solo dormirle addosso


“Come si sega la gente, Giorgio?”
 “Gli italiani sono i migliori killer del mondo. Direi che il processo ha tre fasi: la prima è la ricerca dati per identificare le persone da dismettere. Poi puoi approntare un action plan con nomi e cognomi e fare una riunione con i capi, e i capi dei capi dei candidati da segare, per ottenerne l’adesione e partecipazione. E' poi il capo a fare il primo colloquio all’interessato, gli parla come se la cosa fosse già decisa. E dopo quarant’otto ore incontra te. Naturalmente lui ti parla della sua vita, e tu lo ascolti, gestisci le obiezioni e i dubbi. Devi unire ascolto e pacatezza a fermezza e assertività. Questo primo incontro finisce con un’ipotesi di massima sui soldi della buonuscita. Nell’ultimo colloquio che hai lo chiudi. Il tutto è durato due settimane, dal primo colloquio del capo alla chiusura”.
 Questo è il tenore del romanzo di Massimo Lolli, anche se dal titolo non si direbbe: Volevo solo dormirle addosso. Da cui è stato tratto anche un film. Il protagonista è Marco Pressi, manager di successo di una multinazionale con sede a Milano che un giorno riceve il malaugurato incarico, da lì a due mesi, di licenziare 25 dipendenti in esubero. Ma lo deve fare senza abbassare il target di gradimento del personale verso la sua azienda, e senza risparmiare nessuno, pena il suo licenziamento. Come dire, Vita mea, mors tua.
 Lo stesso giorno Marco viene mollato da Laura, l’uomo si trasforma in un mastino che non dorme mai e di giorno elimina le sue vittime pianificando ogni mossa, animato da un’atroce lotta per la sopravvivenza. Di notte gira per i locali della città, incontra donne con cui distrarsi e insegue l’unica che non può raggiungere. Forse Laura ha colto l’aridità del suo cuore clinicamente morto, dove non trovano posto sentimenti, altruismo e pietà. Le due vite di Marco sembrano andare di pari passo, non dargli pace, fino all’epilogo che lascia intravedere un potenziale, tardivo e forse inutile riscatto.
 Marco è un debole che si maschera da cinico esecutore: “Basta chiamarti e dirti “sa, c’è quell’obiettivo irraggiungibile, non so se lei ce la farà” e tu parti come un dannato. Come tutti gli insicuri e gli inadeguati devi dimostrare il contrario e per questo dai buoni risultati”, si sente accusare alla fine del romanzo, come un anatema maledetto. E lui capisce di essere cascato nella trappola, che per lui non c’è possibilità di salvezza, che ogni uomo è inghiottito dai suoi punti di debolezza e che questa volta essi hanno inghiottito altri innocenti mandati al patibolo.
 Un romanzo micidiale, scritto dal Lolli manager prima che dal Lolli scrittore. Un romanzo per quelli che non hanno più il coraggio di guardarsi allo specchio. Non so se dopo questa recensione qualcuno avrà voglia di leggerlo.

Alessandro DG


lunedì 13 agosto 2012

Ferragosto sindacale

L'organizzazione sindacale USB ha indetto una ASSEMBLEA SINDACALE retribuita per il giorno 15 agosto 2012.

Per permettere a tutti/e i lavoratori/trici di parteciparvi, l'assemblea sarà a cavallo dei due turni, iniziando dalle ore 13,30 e finendo alle 15,30. Il luogo di ritrovo è Piazza della Repubblica davanti alla Reggia o in locali limitrofi.

Tutti/e i lavoratori/trici possono parteciparvi, sia se iscritti al sindacato USB, sia se iscritti ad altri sindacati, sia se iscritti a nessun sindacato.
All'ordine del giorno alcune questioni riguardanti i lavoratori con inquadramento A0 e la questione delle domeniche libere.

Il sindacato USB ha già aperto lo stato di agitazione e si deciderà insieme ai lavoratori quali iniziative intraprendere per i punti all'ordine del giorno.


La Redazione

domenica 12 agosto 2012

Un tempo per.


1 Per tutto c'è il suo tempo, c'è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: 2 un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato; 3 un tempo per uccidere e un tempo per guarire; un tempo per demolire e un tempo per costruire; 4 un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare; 5 un tempo per gettar via pietre e un tempo per raccoglierle; un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci; 6 un tempo per cercare e un tempo per perdere; un tempo per conservare e un tempo per buttar via; 7 un tempo per strappare e un tempo per cucire; un tempo per tacere e un tempo per parlare; 8 un tempo per amare e un tempo per odiare; un tempo per la guerra e un tempo per la pace. [Ecclesiaste, 3]

Forse non ci siamo intesi. Forse le nostre parole non sono state sufficientemente chiare e piene di significato. Forse la parola che pronunciammo non era limpida, pulita o nella lingua corrente. Eppure noi pensavamo. Noi speravamo. Noi vi abbiamo perfino creduto.
Ora, perché non ricapiti ulteriormente un così grave incidente scriviamolo qui una volta per tutte chiaro e in maniera franca. Noi riteniamo di avere diritto ad una domenica libera al mese. Non tre, non due, ci accontentiamo di UNA domenica libera al mese. UNA.
Noi riteniamo di avere diritto a una domenica libera al mese dopo CINQUE anni di lavoro in tutti i fine settimana e in tutti i festivi (Natale escluso). CINQUE.
In questo lungo arco di tempo abbiamo rinunciato a duecentosessanta domeniche di affetti, famiglia, relazione, amicizie, di sacro e profano. E come farne una colpa al proprio fidanzato o alla propria moglie se il mondo intero di domenica si ferma e si riposa e tu no? Il mondo si ferma, ma la vita scorre.
Inoltre abbiamo lavorato sessanta giorni festivi con scarsa turnazione (Ultimo e primo dell'anno, 6 gennaio, Pasqua e Pasquetta, 25 aprile, primo maggio, 2 giugno, 15 agosto, ricorrenze dei Santi e dei Morti, 8 dicembre). La maggioranza di noi ha lavorato in tutte queste festività per tutti i cinque anni.

2 Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità.3 Che profitto ha l'uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole? [Ecclesiaste, 1]

Io ritengo che la domenica a riposo non sia una battaglia da vincere, una esigenza o un miglioramento della vita dei lavoratori della Reggia. Ritengo che sia un diritto. Il diritto di non essere stritolati dalla logica del lavoro comunque, il diritto di curare la propria dimensione personale che si staglia al di fuori delle mura della Reggia per iniziare in quelle casalinghe. Una giornata con proprio marito. Una gita in montagna con gli amici. Una trasferta con proprio figlio.
Quanto siamo ancora disposti a sacrificare famiglia, affetti e amicizie perchè non si è capaci o non si hanno le competenze tecniche e scientifiche di fare una tabella che faccia turnare il personale per avere UNA domenica libera al mese?
Perché siamo l'unica realtà lavorativa che deve ridere amaramente di questa assurdità, quando altri musei e altri servizi più essenziali (come gli ospedali) applicano perfino la turnazione dei fine settimana (sabato e domenica insieme)?
Piuttosto si chiami un esperto da, che ne so, Palazzo Reale. Da Palazzo Madama. O dalle Molinette. Insomma, un ingegnere logistico, magari dal CERN di Ginevra, che abbia studiato come risolvere questo enorme ostacolo delle ore e delle turnazioni.
Ci venne promessa la turnazione già nel mese di agosto. Ci fu detto che non vi erano problemi, che, sì, ci doveva essere una naturale sperimentazione, ma che si sarebbe fatto il possibile. Si è promesso senza poi mantenere. "Non ci riusciamo" ci è stato detto. Di nuovo, per l'ennesima volta in CINQUE anni.
Perciò delle due una: o avete mentito fin dall'inizio o la vostra bocca proferisce parole in maniera superficiale, si muove senza che voi riusciate prima a ragionare sulla materia in questione, tanto da rendervi ridicoli quando questa cade di fronte alla realtà.
Inoltre, come risposta concreta, abbiamo ottenuto turni domenicali di 8 e 11 ore. Perdonate se il mio cuore non è propenso alla gratitudine nei vostri confronti.
Forse però mi sbagliavo. Forse il dubbio si insinua infine nel mio pensare. Forse non siete voi che non avete capito noi. Siamo noi che ci siamo illusi delle vostre intenzioni. Ma per questo si può sempre rimediare.


Qòelet