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FRASE DEL MESE

"Sono fiero dei miei collaboratori, che hanno creato un bando complesso, rigoroso, fatto in modo scientifico" (Mario Turetta, direttore della Reggia di Venaria), infatti taglia del 40% i servizi e non da garanzie chiare su contratti e assunzioni...

sabato 29 settembre 2012

Cadenas: le guarda-barriera



Il 13 Giugno 2012 viene proiettato al cinema Massimo di Torino, il film documentario di Francesca Balbo, Cadenas ( Catene ) selezionato in concorso al Festival Visions du Réel di Nyon. Il titolo del film racchiude il significato del documentario, non solo da un punto di vista simbolico ma anche letterario del termine. Sono di fatto catene, quelle che le protagoniste del documentario: le guarda-barriera, utilizzano per bloccare il traffico ad ogni passaggio del treno lungo i binari ferroviari della Sardegna che si snodano tra la Trexenta, il Campidano e il Gennargentu. In particolare la regista pone la sua attenzione ad un piccolo paese a cinquanta chilometri a nord di Cagliari: Mandas, da dove negli anni '70 partivano diramazioni ferroviarie importanti come quella per Arbatax e Sorgono. Oggi questi luoghi non hanno più il riconoscimento di un tempo, non sono più tappa obbligata di viaggiatori in cammino per altre mete, ma sono diventati per lo più luoghi sconosciuti, dove però è ancora presente il respiro di un paesaggio selvatico che nel documentario, per la durata di alcune sequenze, acquista autonomia dai personaggi e diventa il solo protagonista. I suoni orchestrati dal ritmo della natura, come quello delle foglie sospinte dal vento, sono intervallati da "silenzi" altrettanto descrittivi, come quello reso dalle sole inquadrature dei cartelli che riportano il nome dei paesi, o ancora il "rumore" della pioggia mattutina che si alterna a quello delle rotaie del treno in corsa. Tutte queste scene sono caratterizzate da un senso di attesa, in cui il tempo pare sospeso. Ma catene sono anche quelle che simbolicamente vivono le guarda-barriera, "incatenate" al loro luogo di lavoro per dodici ore di presidio al giorno e vincolate da orari di treni scritti a penna su dei fogli, passabili di continue variazioni. Spesso i cambiamenti di orario o risposte a richieste varie, come quelle per un permesso, vengono comunicati dal macchinista tramite bigliettini rossi gettati dal finestrino del treno in transito. Il "lavoro effettivo", che queste donne svolgono nell'arco della giornata, si può quantificare in ventidue minuti al giorno, il che comporta una scarsa possibilità di gestione della propria vita famigliare e privata.
Nella vita di queste "signore della ferrovia" primeggiano dunque tempi vuoti, tempi fatti di attese, ma anche di responsabilità e volontà di conferire dignità al proprio operato, di essere considerate donne e madri di famiglia che compiono sacrifici per portare a casa qualche soldo in più. La tradizione, in questi luoghi remoti della Sardegna, vuole che a svolgere questo lavoro - unico in Europa - siano solo donne, al quale purtroppo (come spesso accade quando un territorio non viene valorizzato nelle sue risorse e caratteristiche peculiari) si vuole porre fine. Eppure, questo lavoro così inconsueto e particolare, come le donne che lo svolgono, è stato persino citato nel libro Mare e Sardegna da uno scrittore degli anni '20: D. H. Lawrence, di passaggio a Mandas per raggiungere Sorgono.
Quest'attività, non solo per rimando analogico, si avvicina molto alla parola: guardia-sala, e quindi al mestiere di sorvegliante museale ma, con quest'ultimo, ha anche un modo simile d'intendere e di considerare la nozione del tempo. Dove vola il pensiero durante la "bassa" stagione, quando le attività lavorative in un museo rallentano perché non ci sono visitatori o sono troppo pochi per mobilitare il sorvegliante nel suo compito? Come viene concepito il tempo da un guardia-sala rispetto ad una guarda-barriera? Per fortuna, un guardia-sala,  a meno che non si trovi costretto da certe aziende a domandare un doppio turno per una domenica di riposo, arriverà sporadicamente a svolgere dodici ore di lavoro al giorno, come accade invece per le protagoniste del documentario; inoltre sarà piuttosto difficile per lui, lavorare l'uncinetto o piantare quasi distrattamente dei semi di mandorlo, vederlo crescere ed ammirarlo poi a distanza di anni, raccogliendone i frutti. Non s'imbatterà mai - purtroppo - in una mucca solitaria che, in mezzo ai binari osserva ignara ed incuriosita l'andare lento di un treno, o in altre mille sollecitazioni di un paesaggio ancora ingenuo, perché non ferito da una modernità invasiva ed arrogante, ma ancora vivo di generosità, ricco di stimoli visivi e tradizioni.                      

        
 
Probabilmente il pensiero di un guardia-sala, come quello di una guarda-barriera, andrà ai vari compiti da svolgere fuori dal luogo di lavoro per mandare avanti la propria casa, la propria famiglia, gli studi; oppure penserà ad un modo più proficuo per sfruttare al meglio quel tempo che, fuori dall'orario di lavoro, non è più "attesa". In Cadenas, si trova anche l'aspetto legato alla solidarietà, alla semplicità dei rapporti umani e del comunicare, scandito da elementi d'ironia. In una sequenza del documentario, le attuali guarda-barriera, diversamente dalle loro antenate - costrette comunque ad un ritmo lavorativo molto più rigido - hanno la possibilità di avvisarsi dell'arrivo del treno tramite il telefono cellulare. Purtroppo però, l'utilità che nasce dall'età moderna non sempre coincide con valori edificanti, ma piuttosto con opportunismo, guadagno e profitto. Quale futuro possono avere queste donne che da generazioni svolgono il mestiere di guarda-barriera, se le già ridotte linee ferroviarie di questa parte dell'entroterra sardo, verranno sostituite dalle tratte su gomma?
Nell' "attesa", per ora, rimane solo il respiro del tempo presente.

            


 

Satsuki