Frase del mese

FRASE DEL MESE

"Sono fiero dei miei collaboratori, che hanno creato un bando complesso, rigoroso, fatto in modo scientifico" (Mario Turetta, direttore della Reggia di Venaria), infatti taglia del 40% i servizi e non da garanzie chiare su contratti e assunzioni...

martedì 7 febbraio 2012

15 anni

Inverno 1997. Avevo da poco terminato il servizio civile e pregustavo il ritorno allo studio a tempo pieno. Appena un mese di calma e relax, per poi essere proiettato nel fatidico mondo del lavoro di cui, fino a quel momento, avevo solo sentito parlare. L’inizio fu traumatico, ero stato assunto con un contratto a tempo determinato di dieci mesi, con la possibilità del passaggio al tempo indeterminato col terzo rinnovo. Non mi ero abituato all’idea, poco più che adolescente mi trovavo catapultato in un impiego che non rispecchiava minimamente il mio percorso di studi, appena avviato, né le mie ambizioni. Ma mi bastarono un paio di settimane per inserirmi bene nell’ambiente lavorativo, incoraggiato dal primo stipendio che, per la prima volta, mi permetteva di aprire un conto in banca e guardare al futuro in una prospettiva diversa.
La favola durò fino al 30 novembre. Alcuni colleghi anziani erano stati mandati in prepensionamento e alle nuove reclute, tra cui io, non fu rinnovato il contratto. Ricordo la responsabile che ci aveva convocati nel suo ufficio per ripetere a tutti la stessa frase di circostanza: ci dispiace di non poter continuare ad avvalerci della sua collaborazione, ma era già stato anticipato l’impossibilità da parte nostra di rinnovarle il contratto.
 Venni a sapere che l’anno successivo era stato reclutato del nuovo personale con le stesse modalità di impiego, carne fresca da sacrificare dieci mesi dopo sull’altare del precariato.
 Sono passati quindici anni da quella fredda mattina invernale in cui la mia carriera lavorativa è iniziata. Dicono che proprio nel 1997 in Italia si sia cominciato a parlare di instabilità occupazionale e flessibilità, termine che allora veniva salutato come la nuova frontiera del lavoro e il toccasana per un’economia in crisi. Oggi anche i politici, in perenne campagna elettorale, hanno smesso di ripetere lo stesso ritornello, anche se ci pensano i signori dei governi tecnici. Ma intanto un’intera generazione, la mia, si è vista scorrere davanti agli occhi gli anni migliori della sua giovinezza alla ricerca assidua di una sicurezza economica irraggiungibile.
 In questi anni sono passato da un lavoro all’altro, cercando di guadagnarmi onestamente la fiducia di chi mi offriva un nuovo impiego, disponibile a ogni sacrificio pur di poter ben figurare e, magari, essere tenuto. Sono cresciuto professionalmente, mi sono laureato, ho fatto corsi di formazione, ma ovunque, persino laddove le mie qualifiche erano richieste per poter operare, mi sono sentito rispondere che ero bravo, ma non avevano soldi per confermarmi il contratto e quindi dovevano lasciarmi a casa.
 Le cose non sono cambiate. Festeggerò i miei primi 15 anni di precariato in un posto dove la mia paga oraria è inferiore a quella che percepivo nel 1997, al limite della soglia di povertà, e se mi lamento mi dicono che devo ancora ringraziare perché in giro c’è parecchia gente che resta senza lavoro. Solo non ho proprio voglia di dire grazie, sono stufo di farmi in quattro per datori di lavoro che si sentono padroni e si aspettano grandi cose senza essere disposti a offrirmi valide garanzie per il mio domani, che è tutto ciò che conta ed è l’unica cosa che per me ha valore, oggi come allora.

Benjamin Malaussène

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