Frase del mese

FRASE DEL MESE

"Sono fiero dei miei collaboratori, che hanno creato un bando complesso, rigoroso, fatto in modo scientifico" (Mario Turetta, direttore della Reggia di Venaria), infatti taglia del 40% i servizi e non da garanzie chiare su contratti e assunzioni...

giovedì 22 novembre 2012

Dai maestri si può solo imparare

Ken Loach è il regista giusto al momento giusto. Forse uno dei dieci cineasti più famosi d'Europa, doveva partecipare il 26 novembre al Torino Film Festival con il suo ultimo film, La parte degli angeli, per poi ricevere il premio Gran Torino, ovvero il premio alla carriera che viene consegnato durante la manifestazione sabauda. Le motivazioni del premio sono riportate ancora sul sito del TFF: "Per l'umanità, l'umorismo e la forza morale e intellettuale che trasmette con i suoi ritratti di gente vera, sia quando racconta, tra commedia e dramma, storie contemporanee (Riff Raff, Piovono pietre, Ladybird Ladybird, Sweet Sexteen, Paul, Mick e gli altri, My Name Is Joe, Il mio amico Eric), sia quando si dedica a lucide ricostruzioni storiche (Terra e libertà, Il vento che accarezza l’erba, Palma d’oro nel 2006)". 
 Chi ha seguito un poco il cinema del maestro inglese, saprà del profondo senso di giustizia che permea ogni sua pellicola, e quanto egli si sia da sempre impegnato nel rappresentare il mondo del lavoro nudo e crudo, senza inutili retoriche. Ragione per cui, quando il regista di Nuneaton ha ricevuto una lettera in cui i lavoratori del Museo del Cinema di Torino descrivevano le condizioni di sfruttamento in cui erano costretti a operare, spesso sotto ricatto, coerentemente con le sue idee e, se vogliamo, con la sua poetica, ha cortesemente rifiutato di ricevere il premio.
 Qualche intellettuale locale, con poco senso dell'onore  e molto senso del ridicolo, si è permesso di rimproverare il regista per la sua scelta, a suo modo di vedere, estremista, sostenendo che sarebbe stato molto più decoroso, per un artista della sua levatura, ritirare il premio e poi fare una dichiarazione in favore dei lavoratori della Mole Antonelliana direttamente dal palco, evitando così di danneggiare l'immagine del festival e dell'ambiente culturale torinese e di ottenere comunque l'effetto di dare visibilità alla protesta. Eh già, perché a rovinare l'immagine della città adesso sarebbe la coerenza di chi ha speso una vita a lottare contro un sistema che, evidentemente, chi avrebbe voluto consegnargli quel premio appoggia. Mai che dagli stessi scranni si sia levata una voce per denunciare le scandalose condizioni in cui si lavora nei musei torinesi e italiani: magari in questa occasione giornalisti che si dichiarano autorevoli avrebbero potuto criticare il fenomeno di ricatto occupazionale che sta alla base del rifiuto di Ken Loach a presenziare al TFF, ma hanno preferito guardare ottusamente il dito e non la luna. E il risultato è che il coro di indignazione che si è da più parti sollevato ha potuto, ancora una volta, mostrare al mondo il provincialismo italiano e l'inadeguatezza dell'ambiente culturale cittadino a gestire il patrimonio artistico e culturale che una città come Torino sa mettere in campo. Loach ha saputo parlare in nome dei lavoratori torinesi al posto di quelle personalità locali che forse avrebbero il dovere deontologico di difenderli e, invece, sono state brave solo a riempirsi la pancia e a chiudere gli occhi di fronte allo scempio occupazionale di cui, così facendo, si sono rese complici! Rendiamoci conto! C'è voluto Kenneth Loach, un regista inglese! Un uomo di 76 anni che ieri, con il suo gesto, si è rivelato un maestro nella vita, prima ancora che nell'arte. 
Meditate gente, invece di parlare. Anzi, imparate, che dai maestri si impara solo.


Dottor Slump


4 commenti:

  1. Bellissimo articolo, Ken Loach maestro sì, non tanto di cinema, ma di una delle arti più difficili: la coerenza.

    RispondiElimina
  2. Articolo che colpisce nel segno!

    RispondiElimina
  3. Sollevata nel apprendere che c'è chi rifiuta i compromessi e agisce non guardando alla convenienza o alla popolarità, ma secondo cos'è giusto.

    RispondiElimina