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martedì 29 maggio 2012

Impiegati


Venerdì sera, mentre la città era tempestata dalla grandine e dai fulmini, ho scelto di restare a casa e guardare un film di Pupi Avati preso in biblioteca dal titolo “Impiegati”, girato nel 1985. Si può cominciare col dire che è stato un trampolino di lancio per alcuni attori italiani tra i più amati dal grande pubblico, e col tempo la critica ha denotato come una delle peculiarità del regista quella di scritturare giovani attori per i suoi film. Chiaramente, il prodotto finale è uno specchio della società dei primi anni Ottanta, quando il posto fisso era una sicurezza e la percezione che si aveva del lavoro era che una volta firmato un contratto a quella mansione si sarebbe rimasti legati fino alla pensione. Eppure il ritratto che ne fa Avati è impietoso. Il protagonista è Luigi, un ragazzo di Modena che si trasferisce a Bologna per cominciare a lavorare nello stesso gruppo bancario in cui era stato impiegato tutta la vita suo padre. Nel capoluogo emiliano Luigi vive in un appartamento in condivisione con il figlio di un amico del padre, uno studente del DAMS di nome Dario, che non brilla particolarmente negli studi. Dopo l’iniziale antipatia tra i due nasce un’affinità che tuttavia non permette ai loro due mondi di incontrarsi davvero. Luigi ha 25 anni, la sua vita è limitata all’ufficio ed ai colleghi, che presto inizierà a frequentare anche al di fuori dell’orario lavorativo, entrando in un meccanismo di invidie e alleanze che rischierà di alienarlo fino a mettere in discussione i suoi valori ed il suo senso della lealtà. I rapporti si complicheranno quando Luigi si innamorerà della moglie del suo migliore amico, Enrico, il collega che lo ha “adottato” e gli ha permesso di conoscere le dinamiche dell’ufficio, coinvolgendolo nelle sue frequentazioni e nei suoi hobby, fino a fornirgli, involontariamente, l’occasione per conoscere Annalisa e baciarla.
 Per tutti i 90 minuti della pellicola si avverte un senso di angoscia e frustrazione che condurrà la storia verso un finale non scontato, ma inevitabile, quando sfocerà nella tragedia e nella dispersione degli affetti e dei legami, tanto che l’odiata scrivania da cui Luigi fugge desiderando solo che arrivi il prossimo weekend finirà col diventare il nido sicuro e protettivo di cui sarà impossibile fare a meno. L'autenticità dell'esistenza sembra confinata in pochi attimi, in stanze vuote e silenziose, o nelle lancette veloci di un orologio nel cui scorrere il protagonista prova, in pochi secondi, a fissare i momenti importanti dell'intera sua vita.


 Alessandro DG

3 commenti:

  1. bella recensione!
    pur non essendo un fan di tutta la produzione di Avati, questo lavoro non l'ho visto e devo dire che ora mi è venuta voglia di andare a cercarlo!

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  2. E' stata scritta una buona recensione, questo è quanto.

    beru

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  3. Neanche io amo tutto, Avati è un regista che sa fare film belli e film molto brutti. Questo è carino e ha degli spunti interessanti, anche se non all'altezza di "Regalo di Natale" o di "Ma quando arrivano le ragazze?".

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