Venerdì sera, mentre la città era
tempestata dalla grandine e dai fulmini, ho scelto di restare a casa e guardare
un film di Pupi Avati preso in biblioteca dal titolo “Impiegati”, girato nel
1985. Si può cominciare col dire che è stato un trampolino di lancio per alcuni
attori italiani tra i più amati dal grande pubblico, e col tempo la critica ha
denotato come una delle peculiarità del regista quella di scritturare giovani
attori per i suoi film. Chiaramente, il prodotto finale è uno specchio della
società dei primi anni Ottanta, quando il posto fisso era una sicurezza e la
percezione che si aveva del lavoro era che una volta firmato un contratto a
quella mansione si sarebbe rimasti legati fino alla pensione. Eppure il
ritratto che ne fa Avati è impietoso. Il protagonista è Luigi, un ragazzo di
Modena che si trasferisce a Bologna per cominciare a lavorare nello stesso
gruppo bancario in cui era stato impiegato tutta la vita suo padre. Nel
capoluogo emiliano Luigi vive in un appartamento in condivisione con il figlio
di un amico del padre, uno studente del DAMS di nome Dario, che non
brilla particolarmente negli studi. Dopo l’iniziale antipatia tra i due nasce
un’affinità che tuttavia non permette ai loro due mondi di incontrarsi davvero.
Luigi ha 25 anni, la sua vita è limitata all’ufficio ed ai colleghi, che presto
inizierà a frequentare anche al di fuori dell’orario lavorativo, entrando in un
meccanismo di invidie e alleanze che rischierà di alienarlo fino a mettere in
discussione i suoi valori ed il suo senso della lealtà. I rapporti si
complicheranno quando Luigi si innamorerà della moglie del suo migliore amico, Enrico,
il collega che lo ha “adottato” e gli ha permesso di conoscere le dinamiche
dell’ufficio, coinvolgendolo nelle sue frequentazioni e nei suoi hobby, fino
a fornirgli, involontariamente, l’occasione per conoscere Annalisa e
baciarla.
Per tutti i 90 minuti della pellicola si
avverte un senso di angoscia e frustrazione che condurrà la storia verso un
finale non scontato, ma inevitabile, quando sfocerà nella tragedia e nella
dispersione degli affetti e dei legami, tanto che l’odiata scrivania da cui
Luigi fugge desiderando solo che arrivi il prossimo weekend finirà col
diventare il nido sicuro e protettivo di cui sarà impossibile fare a meno. L'autenticità dell'esistenza sembra confinata in pochi attimi, in stanze vuote e silenziose, o nelle lancette veloci di un orologio nel cui scorrere il protagonista prova, in pochi secondi, a fissare i momenti importanti dell'intera sua vita.
Alessandro DG
bella recensione!
RispondiEliminapur non essendo un fan di tutta la produzione di Avati, questo lavoro non l'ho visto e devo dire che ora mi è venuta voglia di andare a cercarlo!
E' stata scritta una buona recensione, questo è quanto.
RispondiEliminaberu
Neanche io amo tutto, Avati è un regista che sa fare film belli e film molto brutti. Questo è carino e ha degli spunti interessanti, anche se non all'altezza di "Regalo di Natale" o di "Ma quando arrivano le ragazze?".
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