Cadde
la neve, copiosamente, accarezzando il Mondo, la terra contadina, con
la sua antica ninna-nanna.
Cadde
come mai cadde e come mai cadrà più. Gli uomini e i ragazzi
infreddoliti da anni si chiedevano se stesse cadendo anche per loro,
che tanto ormai desideravano la pace, desideravano la casa, o la
moglie o la mamma.
Pure
i fucili si domandavano se la neve stesse cadendo per loro; non che
facesse differenza, oramai erano da tempo arrugginiti, ma trovavano
comunque un particolare piacere nel sentire la loro pelle di metallo
esser toccata da un freddo ancora più freddo.
Le
scarpe e gli scarponi erano solo rammaricati di rovinare quella
distesa d’incanto, disegnando forme sul manto inviolato, strani
nidi di ragno che si stagliavano sui campi.
Cosa
pensasse la neve non lo so, era solo così dolce e quasi
indifferente, come una mamma che culla il pianto, anche rosso, del
proprio bimbo.
Anche
la Morte si accorse del bianco evento e si distrasse anch'essa per
un poco a vedere la perfezione geometrica dei fiocchi di neve. Ma
solo per un attimo.
La
valle salutava la calma discesa bianca con dei camini riluttanti di
gonfi fumi grigi e neri. Tedeschi e repubblichini erano nella valle e
cercavano i “banditi”; l’improvvisa nevicata aveva rallentato
le rappresaglie e c’era perfino tempo per riappropriarsi del
pensiero. E non era facile rimanere indifferenti di fronte al mistero
della pace della neve.
I
“banditi”, come venivano chiamati, sapevano del male arrivato
nella valle: la Morte aleggiava già prima della neve e li cercava,
sembrava in certi momenti lì lì, alla porta, pronta a bussare o
altre volte lontana, via dalla valle.
Si
respirava il freddo che ti avvolgeva, come t’avvolgeva il miracolo
bianco che da due giorni faceva le sue apparizioni. Dentro la casa
Cesco scriveva una lettera, il camino ovviamente non era acceso e le
mani rosse bruciavano dal gelo. Scriveva a suo fratello: voleva
sapere come stava la sua famiglia, ormai da mesi lasciata; e la sua
Mimma, anch’ella riposta in uno scrigno protetto, sia in paese che
nel suo animo, Mimma che stringeva a sé come oro e rubini. Tutti
quei ricordi, quei volti, nostalgici e felici.
Perché
Cesco era lì? Perché salì sui monti e divenne partigiano? Perché
lasciò tutti i suoi tesori per impugnare il fucile? Di sicuro la
ragione principale era per non impugnarne un altro, arrugginito uguale
ma ancor meno amato e più pesante: era stato chiamato all’armi
dall’esercito della Repubblica Sociale. Ma come per tutte quelle
decisioni che ti portano chissà dove e ti immergono in chissà quale
situazione, la presenza di Cesco in Montagna era frutto dell’unione
di scelte consapevolmente volute o meno e di interventi del Caso, che
gira e fa girare le vite, i cammini, le strade degli uomini e i
fiocchi di neve.
Attore
o marionetta della Vita? Tutte e due, ma è sempre difficile
definirne la misura.
“Vieni
Cesco, prendi la tua roba, ce ne andiamo”, era la frase che da
giorni temeva e gli arrivò da un suo compagno, entrato in casa con
calma ma con risolutezza, mentre il foglio che aveva sottomano era
ricoperto solo a metà. Lo piegò (“Mio caro Italo, ti scrivo e ti
dico che io sto bene e che sono sempre felice di ricever notizie
vostre…”) e se lo mise nella tasca della giacca. La porta era
aperta ed entrò il gelo che era prima rinchiuso fuori; lo stesso
gelo che trovò sicuro ad aspettarlo sotto la calma caduta bianca.
Il
silenzio era compagno di viaggio indiscreto e raccontava loro come la
valle si stava ricoprendo di neve immacolata. L'unico compagno era il crepitio della neve pestata dagli scarponi. Cesco pensò
a Dio, gli rivolse anche una preghiera, cosa che non faceva da anni:
“Fa che non ci trovino, fa che possa rivedere Mimma, fa che…”,
alzò il capo e vide nitidamente smettere di nevicare: l’incanto
stava per finire, si ritornava dal sogno per ritrovare la realtà,
per ritrovare la guerra.
Camminarono
per ore, tutti e quindici, con zaini e fucili in spalla, qualcuno
aveva anche una coperta sulle spalle, i più fortunati buoni
scarponi. Ed ecco quel che non potevano immaginare: una camionetta di
Repubblichini era bloccata, i suoi proprietari si affaccendavano a
rimetterla in moto ma niente da fare, c’era bisogno di un meccanico
e di meno neve sul terreno, impossibile su quelle montagne.
L’idea
era bella e balzò a tutti quasi subito: far fuori i repubblichini e
prendersi il furgoncino, che magari portava o munizioni, o viveri, o
chissà cosa… tutti lo pensarono, ma non avevano il coraggio di
saltar fuori dal fosso, scendere dalla collina mitragliando e
compiere così l’impresa. Ad un certo punto Cesco prese la
decisione, e la prese come tante decisioni, senza pesare
accuratamente i piatti della bilancia, senza sapere se era realmente
attore o marionetta delle vicende: saltò fuori e sparò ai
repubblichini, scendendo giù con sì tanta rabbia da sfogare che
sembrava un Achille contro i Troiani. E come Achille trascinava le
schiere di Achei alla vittoria, così Cesco trascinò i suoi compagni
giù dalla collina.
I
corpi dei fascisti erano a terra, caldi, riluttanti di sangue,
stavano violando l’immacolato manto di quei giorni con il rosso del
fratricidio, del paesano contro il paesano, dell’italiano contro
l’italiano, dell’uomo contro l’uomo. Strana sensazione: sembrò
di uccidere la neve con quel sangue su di essa.
Cesco
si avvicinò alla camionetta e vide con stupore che non portava
munizioni: portava la posta. Come a cercare un recondito nesso fra
quelle righe e le sue portate al cuore, tirò fuori la sua lettera
(“salutami tanto e con molto affetto Mimma, dille che la penso ogni
giorno, dille che appena potrò la cercherò e ci vedremo appena sarò
sceso a valle…”), la teneva in mano mentre il sangue gli colava
sulla mano e mentre le urla dei suoi compagni si spegnevano; lo
sapeva, ma non le sentiva, le percepiva ma le sue orecchie erano
sorde. Vide solo sé stesso trasformarsi in rigagnoli rossi cadere in
terra: fece qualche passo, verso la bianca collina e in quel momento
sentì nitidamente altri spari. Cesco capì che stava morendo, il suo
sguardo calò giù col suo corpo, verso il bianco che lo avrebbe
portato nel buio: la Morte aveva trovato di chi saziarsi e se la neve
copriva il mondo, lei copriva la neve e gli uomini che la stavano
abbracciando l’ultima volta.
E
ricominciò a nevicare, ancora una volta, dal cielo lontano, come se
non fosse successo niente, con rinnovata e solita speranza di
immacolare il mondo, ancora una volta, mai come quella volta, come
tante volte succedutesi nell’ere degli uomini.
Alberto
B.
Grazie Alberto, mi hai mostrato un'altra faccia del PARTIGIANO JOHNNY
RispondiEliminaPino
Mi è piaciuta come la prima volta che me l'hai fatta leggere. Complimenti, Alby :)
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