Frase del mese

FRASE DEL MESE

"Sono fiero dei miei collaboratori, che hanno creato un bando complesso, rigoroso, fatto in modo scientifico" (Mario Turetta, direttore della Reggia di Venaria), infatti taglia del 40% i servizi e non da garanzie chiare su contratti e assunzioni...

domenica 29 gennaio 2012

Favola partigiana



Cadde la neve, copiosamente, accarezzando il Mondo, la terra contadina, con la sua antica ninna-nanna.
Cadde come mai cadde e come mai cadrà più. Gli uomini e i ragazzi infreddoliti da anni si chiedevano se stesse cadendo anche per loro, che tanto ormai desideravano la pace, desideravano la casa, o la moglie o la mamma.
Pure i fucili si domandavano se la neve stesse cadendo per loro; non che facesse differenza, oramai erano da tempo arrugginiti, ma trovavano comunque un particolare piacere nel sentire la loro pelle di metallo esser toccata da un freddo ancora più freddo.
Le scarpe e gli scarponi erano solo rammaricati di rovinare quella distesa d’incanto, disegnando forme sul manto inviolato, strani nidi di ragno che si stagliavano sui campi.
Cosa pensasse la neve non lo so, era solo così dolce e quasi indifferente, come una mamma che culla il pianto, anche rosso, del proprio bimbo.
Anche la Morte si accorse del bianco evento e si distrasse anch'essa per un poco a vedere la perfezione geometrica dei fiocchi di neve. Ma solo per un attimo.
La valle salutava la calma discesa bianca con dei camini riluttanti di gonfi fumi grigi e neri. Tedeschi e repubblichini erano nella valle e cercavano i “banditi”; l’improvvisa nevicata aveva rallentato le rappresaglie e c’era perfino tempo per riappropriarsi del pensiero. E non era facile rimanere indifferenti di fronte al mistero della pace della neve.
I “banditi”, come venivano chiamati, sapevano del male arrivato nella valle: la Morte aleggiava già prima della neve e li cercava, sembrava in certi momenti lì lì, alla porta, pronta a bussare o altre volte lontana, via dalla valle.
Si respirava il freddo che ti avvolgeva, come t’avvolgeva il miracolo bianco che da due giorni faceva le sue apparizioni. Dentro la casa Cesco scriveva una lettera, il camino ovviamente non era acceso e le mani rosse bruciavano dal gelo. Scriveva a suo fratello: voleva sapere come stava la sua famiglia, ormai da mesi lasciata; e la sua Mimma, anch’ella riposta in uno scrigno protetto, sia in paese che nel suo animo, Mimma che stringeva a sé come oro e rubini. Tutti quei ricordi, quei volti, nostalgici e felici.
Perché Cesco era lì? Perché salì sui monti e divenne partigiano? Perché lasciò tutti i suoi tesori per impugnare il fucile? Di sicuro la ragione principale era per non impugnarne un altro, arrugginito uguale ma ancor meno amato e più pesante: era stato chiamato all’armi dall’esercito della Repubblica Sociale. Ma come per tutte quelle decisioni che ti portano chissà dove e ti immergono in chissà quale situazione, la presenza di Cesco in Montagna era frutto dell’unione di scelte consapevolmente volute o meno e di interventi del Caso, che gira e fa girare le vite, i cammini, le strade degli uomini e i fiocchi di neve.
Attore o marionetta della Vita? Tutte e due, ma è sempre difficile definirne la misura.
Vieni Cesco, prendi la tua roba, ce ne andiamo”, era la frase che da giorni temeva e gli arrivò da un suo compagno, entrato in casa con calma ma con risolutezza, mentre il foglio che aveva sottomano era ricoperto solo a metà. Lo piegò (“Mio caro Italo, ti scrivo e ti dico che io sto bene e che sono sempre felice di ricever notizie vostre…”) e se lo mise nella tasca della giacca. La porta era aperta ed entrò il gelo che era prima rinchiuso fuori; lo stesso gelo che trovò sicuro ad aspettarlo sotto la calma caduta bianca.
Il silenzio era compagno di viaggio indiscreto e raccontava loro come la valle si stava ricoprendo di neve immacolata. L'unico compagno era il crepitio della neve pestata dagli scarponi. Cesco pensò a Dio, gli rivolse anche una preghiera, cosa che non faceva da anni: “Fa che non ci trovino, fa che possa rivedere Mimma, fa che…”, alzò il capo e vide nitidamente smettere di nevicare: l’incanto stava per finire, si ritornava dal sogno per ritrovare la realtà, per ritrovare la guerra.
Camminarono per ore, tutti e quindici, con zaini e fucili in spalla, qualcuno aveva anche una coperta sulle spalle, i più fortunati buoni scarponi. Ed ecco quel che non potevano immaginare: una camionetta di Repubblichini era bloccata, i suoi proprietari si affaccendavano a rimetterla in moto ma niente da fare, c’era bisogno di un meccanico e di meno neve sul terreno, impossibile su quelle montagne. 
L’idea era bella e balzò a tutti quasi subito: far fuori i repubblichini e prendersi il furgoncino, che magari portava o munizioni, o viveri, o chissà cosa… tutti lo pensarono, ma non avevano il coraggio di saltar fuori dal fosso, scendere dalla collina mitragliando e compiere così l’impresa. Ad un certo punto Cesco prese la decisione, e la prese come tante decisioni, senza pesare accuratamente i piatti della bilancia, senza sapere se era realmente attore o marionetta delle vicende: saltò fuori e sparò ai repubblichini, scendendo giù con sì tanta rabbia da sfogare che sembrava un Achille contro i Troiani. E come Achille trascinava le schiere di Achei alla vittoria, così Cesco trascinò i suoi compagni giù dalla collina.
I corpi dei fascisti erano a terra, caldi, riluttanti di sangue, stavano violando l’immacolato manto di quei giorni con il rosso del fratricidio, del paesano contro il paesano, dell’italiano contro l’italiano, dell’uomo contro l’uomo. Strana sensazione: sembrò di uccidere la neve con quel sangue su di essa. 
Cesco si avvicinò alla camionetta e vide con stupore che non portava munizioni: portava la posta. Come a cercare un recondito nesso fra quelle righe e le sue portate al cuore, tirò fuori la sua lettera (“salutami tanto e con molto affetto Mimma, dille che la penso ogni giorno, dille che appena potrò la cercherò e ci vedremo appena sarò sceso a valle…”), la teneva in mano mentre il sangue gli colava sulla mano e mentre le urla dei suoi compagni si spegnevano; lo sapeva, ma non le sentiva, le percepiva ma le sue orecchie erano sorde. Vide solo sé stesso trasformarsi in rigagnoli rossi cadere in terra: fece qualche passo, verso la bianca collina e in quel momento sentì nitidamente altri spari. Cesco capì che stava morendo, il suo sguardo calò giù col suo corpo, verso il bianco che lo avrebbe portato nel buio: la Morte aveva trovato di chi saziarsi e se la neve copriva il mondo, lei copriva la neve e gli uomini che la stavano abbracciando l’ultima volta.
E ricominciò a nevicare, ancora una volta, dal cielo lontano, come se non fosse successo niente, con rinnovata e solita speranza di immacolare il mondo, ancora una volta, mai come quella volta, come tante volte succedutesi nell’ere degli uomini.

Alberto B.

2 commenti:

  1. Grazie Alberto, mi hai mostrato un'altra faccia del PARTIGIANO JOHNNY
    Pino

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  2. Mi è piaciuta come la prima volta che me l'hai fatta leggere. Complimenti, Alby :)

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